domenica 30 settembre 2012

Quello che non capisco, non per forza è sbagliato

Le saghe degli equivoci sono, nella vita, forse una delle prime cause di litigio.
È impressionante notare come, in un numero spropositato di casi, si mandino a quel paese relazioni, rapporti, amicizie, conoscenze, per fatti di cui si crede di sapere tanto e in realtà, si sa poco o nulla.
Accade, è sbagliato, ma accade.
Si crede di intuire, di aver tratto quel famoso dado e non ci si rende conto di essere e restare pur sempre nell'ambito dell'intuizione, dell'ipotesi.
Eppure, a volte, siamo così presi dal nostro immenso e spropositato ego da fare di quell'intuizione una verità scolpita nella roccia, un motivo di battaglia. Le guerre a volte iniziano così. Non ci si ferma un attimo a pensare alla persona oggetto delle nostre elucubrazioni, ad immaginare, o quantomeno, a sforzarsi di farlo, come abbia ragionato, quali siano stati i motivi che l'hanno portata a compiere questa o quella scelta.
Il dialogo. Questo sconosciuto. Si dialoga a colpi di Facebook oggi. Io stesso sto scrivendo da un blog, adesso.
La società si è e(in)voluta, o forse siamo noi a fuggire dalle nostre responsabilità e non saper più chiedere scusa, di persona intendo?
Ora, se ciò vale fra persone che intrecciano rapporti, di qualunque genere, non vale forse ancora di più quando tali rapporti non ci sono?
"In che senso?" mi direte voi.
Nel senso che capita anche di veder alzare bandiere di guerra e sputare sentenze da parte di certi soggetti, su situazioni che non li coinvolgono né direttamente, né indirettamente. Già, c'è sempre chi è disposto a farsi i ca**i tuoi pur non avendone motivo alcuno. Eppure accade. Perché si sente in diritto di farlo? Perché si crede al di sopra di tutto e tutti e di conseguenza, in diritto di sentenziare. Non lo so, onestamente non lo so.
Quel che so è che quest'individuo non è nella mia testa, né in quella di chi mi è vicino e con cui condivido i miei progetti e il mio tempo.
Questo significa una sola cosa: che qualunque cosa io faccia, non potrà mai sapere effettivamente il mio pensiero e cosa mi ha portato ad una scelta. Probabilmente quello che per lui è un fine, per me è solo un mezzo. Già da sola questa "piccolezza" (che però non è tale) fa la differenza, stravolgendo il significato delle cose, l'intenzione dei gesti. Se non capisco qualcosa (perché non ci arrivo o non ho i mezzi per capire, non essendo coinvolto), non per forza è sbagliata.
Ad ogni modo la questione fondamentale, a mio avviso, è un'altra: ma perché non ti fai i ca**i tuoi? Grazie

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